| Era notte. Notte fonda, il cielo era scuro con la luna che risplendeva da sola nel cielo vuoto, privo di ogni astro celeste che potesse dar conforto alla Grande Solitaria che mostrava solo tre quarti della sua faccia piatta e argentata, nessun sorriso e nessuna espressione, piatta come ogni cosa ovvia a questo mondo. Notte oscura e fredda e come il giorno portava aria, aria di novità e bellezze anche la notte portava qualcosa ovunque: la paura. Era strano come solo alcune cose erano visibili di giorno, alcuni angoli del mondo splendevano di una luce diversa il giorno e di un altra luce oscura la notte. Ero immobile nella mia stanza, sopra la bottega del vecchio fabbro a Canterville e osservavo con lo sguardo celeste la clessidra adagiata sul pavimento, le gambe incrociate coperte solamente da un leggero pantalone di lino. I piccoli granelli di sabbia scendevano da una coppa all'altra silenziosamente scandendo il tempo, lasciando una piccola scia d'oro che per renderla continua bastava ribalrtare la clessidra. Eh si, noi misuravamo ancora così il tempo. Noi.. non esisteva più gran parte della mia razza, non eravamo più puri come un tempo, non eravamo gli elfi di una volta destinati al sapere, curiosi di mangiare la conoscenza di questo mondo, di nutrirci e respirare insieme alle piante e di far riequilibare ogni cosa. No! Non eravamo più quelli, oggi non c'era un noi ma c'ero solo io, un io perso su questa terra, su quest'inferno Me stessa Sospirai guardando la clessidra per poi alzarmi dal tappeto visto che non riuscivo a dormire, sollevai le braccia verso il soffitto e mi stiracchiai sentendo le ossa della mia schiena scrocchiare. Mi levai il ferma capelli e lo appoggiai sulla scrivania in legno e scollai la testa lasciando ricadere la mia chioma lunga, nera e mossa lungo la schiena fino al mio fondoschiena, mi liberai del pantalone e della camicia di lino per indossare un vestito diverso. Di uno verde smeraldo con il corsetto percorso da fili d'oro che fasciava completamente il mio busto lasciando scoperte le spalle, le braccia e dal collo in su; la gonna a balze copriva le mie gambe fino a fermarsi qualche dita più in sù delle ginocchia. Sorrisi passandomi una mano tra i capelli, guardandomi allo specchio per poi rifermarli con la mia libellula di legno. Presi la mia spada o meglio la spada di mio padre, che aveva assuntoi un colore distorto, simile al blu di prussia per colpa della debole luce della candela che ardeva sul tappeto, solo per precauzione. Non l'avrei mai sfoderata, non ero una donna fatta per le armi anche perchè l'arma più tagliente che avevo era la parola e quella non mi mancava mai. Mi piegai per spegnerla con un soffio, mi legai il mantello al collo e uscii dalla finestra con un grande balzo, atterrando sulle fredde mattonelle delle strade di CanterVille. Mi raddrizzai guardandomi intorno notando che la strada come al solito era deserta ed iniziai a camminare con molta tranqulllità coprendomi il capo con il cappuccio del mantello, oscurando in gran parte il profilo del mio viso. Non so per quanto tempo camminai ma avevo girato troppe volte per la città e c'erano dei posti che mi piaceva visitare sempre ed uno di questi era il giardino delle rose nere per il semplice fatto che il mio fiato era fatto anche per le piante, per i fiori e solitamente non era pericoloso, non vi entrava mai nessuno perchè il custode lo chiudeva appena il sole calava dietro l'orizzonte. Arrivai dal lato ovest del parco e mi fermai in prossimità di una vecchia quercia, saltai ed dopo aver afferrato il ramo, dondolato avanti ed indietro mi lasciai cadere al dilà del muro di cinta dentro il parco, atterrando sul morbido prato di un aiuola. Portai le mani sulla gonna scrollandola, come per ripulirmi anche se non ero sporca e questo era ovvio ma era un abitudine che mi era rimasta dal palazzo sistemate sempre le vostre balze signorine le parole di Rundhon, la mia mentore, saggezza e luce, mi risuonarono nella mente facendomi comparire un sorriso sul mio viso. Guardai il cielo per poi mettermi a camminare per il parco, i miei piedi nudi con la cavigliera portafortuna sfioravano con delicatezza il terreno mentre con lo sguardo passavo in rassegna le rose nere che erano sempre state un mistero per me, cioè le rose erano belle rosse o bianche o blu ma nere..nere. Il nero era il colore della morte, non mi era mai piaciuto. Passai per uno dei vialetti che erano paralleli alla piazza centrale ed ecco che il mio sguardo colse una rosa spezzata, e quando un fiore soffriva tutto spariva attorno a me, non prestavo più attenzione a nessuno. Così mi avvicinai ad essa posando una mano sotto la coppa della rosa iniziando, in elfico, a canticchiare sottovoce un antica melodia tenendo le labbra socchiuse lasciando uscire la mia voce con delicatezza.
|