RoSes don'T blosSom in SumMer

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.)Angel of Despair(.
view post Posted on 16/9/2010, 20:41




Il cancello del parco rimaneva chiuso di notte, secondo le volontà del gestore. Forse una misura per cautelarsi da eventuali vandali che avrebbero potuto distruggere quei magnifici cespugli di rose che contornavano le aree verdeggianti. Nieman sorrise dolcemente dietro la maschera. Non aveva alcuna intenzione di danneggiare quello splendore per un semplice atto di noia o invidia. Non avrebbe toccata alcuna di quelle delicate rose nere. Alzò semplicemente il braccio sinistro con molta lentezza, fracassando con un pugno la serratura del cancello. Uno dei due bambini che reggeva con l'altro braccio fece per muoversi, ma il vampiro lo placò dolcemente con lo sguardo, rimettendolo a dormire.
Attraversò con tranquillità il vialetto d'ingresso, dirigendosi verso le panchine al centro del parco. I lampioni all'esterno del recinto fornivano una flebile illuminazione, che tuttavia bastava a Nieman per godersi tutta la graziosità di quel luogo. Erano anni che non visitava quel luogo, e si chiedeva perché non l'avesse fatto prima. Gli tornò in mente che di giorno il parco era visitato per lo più dagli essere inferiori, e una vaga espressione di disgusto attraversò il suo volto. No, non avrebbe rinunciato a questa piccola distrazione serale per un motivo tanto stupido; bastava che quegli esseri non lo disturbassero mentre camminava la notte.
Un lampo d'ira illuminò per qualche istante gli occhi del vampiro. Posò delicatamente i due bambini su una panchina, dopodiché si sfilò il guanto destro. Un accattone. Un accattone su una panchina in quel magnifico parco. Non poteva sopportare una simile infamia. Sollevò l'uomo per il collo, impedendogli di emettere alcun suono; dopodiché ne morse il polso e iniziò a bere il sangue che ne fuoriusciva attraverso il foro per la bocca della maschera. L'uomo perse i sensi dopo pochi secondi. Nieman tirò fuori il suo cucchiaio.
Avrebbe perforato il petto dell'uomo come prima cosa, recidendogli le vene e arterie che portano al cuore e ne avrebbe bevuto; poi sarebbe passato alle viscere e alla milza e il fegato. Avrebbe imbrattato di sangue il selciato, i cespugli, le panchine. Avrebbe sparso le budella sul prato e sulle rose, le avrebbe ingurgitate e poi vomitate su quello stesso cadavere, avrebbe...
Un bambino alzò la testa, insonnolito, e guardò impassibile il vampiro che si apprestava a squartare la sua vittima. Ma Nieman si accorse del piccolo, e, lasciati i propri propositi e scagliato il corpo del barbone al centro di uno spiazzo d'erba, si avvicinò a lui con premura, rimettendolo a dormire con il potere dello sguardo. Quei due bambini erano troppo piccoli per essere resi vampiri, tuttavia una volta più maturi sarebbero stati perfetti: era nel loro sguardo, nella loro pelle, nel loro modo di esistere. Nieman poteva, o almeno credeva di poter riconoscere coloro che erano destinati a diventare le creature della notte più perfette.
Avrebbe passato accanto a loro quella notte, come per fargli presagire ciò che sarebbe successo in futuro. E la notte sarebbe passate in modo molto più tranquillo se l'accattone, sopravvissuto al dissanguamento, non avesse iniziato a urlare selvaggiamente.
 
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view post Posted on 23/9/2010, 21:58
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Era notte. Notte fonda, il cielo era scuro con la luna che risplendeva da sola nel cielo vuoto, privo di ogni astro celeste che potesse dar conforto alla Grande Solitaria che mostrava solo tre quarti della sua faccia piatta e argentata, nessun sorriso e nessuna espressione, piatta come ogni cosa ovvia a questo mondo. Notte oscura e fredda e come il giorno portava aria, aria di novità e bellezze anche la notte portava qualcosa ovunque: la paura. Era strano come solo alcune cose erano visibili di giorno, alcuni angoli del mondo splendevano di una luce diversa il giorno e di un altra luce oscura la notte. Ero immobile nella mia stanza, sopra la bottega del vecchio fabbro a Canterville e osservavo con lo sguardo celeste la clessidra adagiata sul pavimento, le gambe incrociate coperte solamente da un leggero pantalone di lino. I piccoli granelli di sabbia scendevano da una coppa all'altra silenziosamente scandendo il tempo, lasciando una piccola scia d'oro che per renderla continua bastava ribalrtare la clessidra. Eh si, noi misuravamo ancora così il tempo. Noi.. non esisteva più gran parte della mia razza, non eravamo più puri come un tempo, non eravamo gli elfi di una volta destinati al sapere, curiosi di mangiare la conoscenza di questo mondo, di nutrirci e respirare insieme alle piante e di far riequilibare ogni cosa. No! Non eravamo più quelli, oggi non c'era un noi ma c'ero solo io, un io perso su questa terra, su quest'inferno Me stessa Sospirai guardando la clessidra per poi alzarmi dal tappeto visto che non riuscivo a dormire, sollevai le braccia verso il soffitto e mi stiracchiai sentendo le ossa della mia schiena scrocchiare. Mi levai il ferma capelli e lo appoggiai sulla scrivania in legno e scollai la testa lasciando ricadere la mia chioma lunga, nera e mossa lungo la schiena fino al mio fondoschiena, mi liberai del pantalone e della camicia di lino per indossare un vestito diverso. Di uno verde smeraldo con il corsetto percorso da fili d'oro che fasciava completamente il mio busto lasciando scoperte le spalle, le braccia e dal collo in su; la gonna a balze copriva le mie gambe fino a fermarsi qualche dita più in sù delle ginocchia. Sorrisi passandomi una mano tra i capelli, guardandomi allo specchio per poi rifermarli con la mia libellula di legno. Presi la mia spada o meglio la spada di mio padre, che aveva assuntoi un colore distorto, simile al blu di prussia per colpa della debole luce della candela che ardeva sul tappeto, solo per precauzione. Non l'avrei mai sfoderata, non ero una donna fatta per le armi anche perchè l'arma più tagliente che avevo era la parola e quella non mi mancava mai. Mi piegai per spegnerla con un soffio, mi legai il mantello al collo e uscii dalla finestra con un grande balzo, atterrando sulle fredde mattonelle delle strade di CanterVille. Mi raddrizzai guardandomi intorno notando che la strada come al solito era deserta ed iniziai a camminare con molta tranqulllità coprendomi il capo con il cappuccio del mantello, oscurando in gran parte il profilo del mio viso. Non so per quanto tempo camminai ma avevo girato troppe volte per la città e c'erano dei posti che mi piaceva visitare sempre ed uno di questi era il giardino delle rose nere per il semplice fatto che il mio fiato era fatto anche per le piante, per i fiori e solitamente non era pericoloso, non vi entrava mai nessuno perchè il custode lo chiudeva appena il sole calava dietro l'orizzonte. Arrivai dal lato ovest del parco e mi fermai in prossimità di una vecchia quercia, saltai ed dopo aver afferrato il ramo, dondolato avanti ed indietro mi lasciai cadere al dilà del muro di cinta dentro il parco, atterrando sul morbido prato di un aiuola. Portai le mani sulla gonna scrollandola, come per ripulirmi anche se non ero sporca e questo era ovvio ma era un abitudine che mi era rimasta dal palazzo sistemate sempre le vostre balze signorine le parole di Rundhon, la mia mentore, saggezza e luce, mi risuonarono nella mente facendomi comparire un sorriso sul mio viso. Guardai il cielo per poi mettermi a camminare per il parco, i miei piedi nudi con la cavigliera portafortuna sfioravano con delicatezza il terreno mentre con lo sguardo passavo in rassegna le rose nere che erano sempre state un mistero per me, cioè le rose erano belle rosse o bianche o blu ma nere..nere. Il nero era il colore della morte, non mi era mai piaciuto. Passai per uno dei vialetti che erano paralleli alla piazza centrale ed ecco che il mio sguardo colse una rosa spezzata, e quando un fiore soffriva tutto spariva attorno a me, non prestavo più attenzione a nessuno. Così mi avvicinai ad essa posando una mano sotto la coppa della rosa iniziando, in elfico, a canticchiare sottovoce un antica melodia tenendo le labbra socchiuse lasciando uscire la mia voce con delicatezza.
 
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